A cura di Debora T. Stenta e Igor Niego
Siamo una famiglia del team di “Disimparando s’impara” che da più di un anno sta effettuando un tour di disapprendimento nel mondo. Viviamo il disimparare come routine familiare, mettendo in discussione con l’azione ciò che già avevamo ribaltato con il pensiero e col cuore, iniettando poesia e surrealismo nelle pieghe del nostro quotidiano.
La nostra rotta questa volta si è diretta verso una terra dove la tradizione filosofica, culturale, politica e spirituale è stata fortemente caratterizzata da “disapprendisti” doc. Ci troviamo in India, dove sono esistiti personaggi come Gandhi, Osho, Krishnamurti o Tagore, che hanno portato alla luce contraddizioni e bugie di certi assunti apparentemente indiscutibili con una nonchalance che farebbe impallidire il più sfrontato ed eretico pensatore occidentale.
Quando siamo partiti per l’India non ci aspettavamo tuttavia di trovare una cultura del disimparare così diffusa e accettata. Siamo addirittura capitati in una conferenza di “disimparandi” con oltre 700 persone, la Learning Societies UnConference, e lì abbiamo conosciuto una delle figure più significative di questo movimento, uno che ha disimparato ad essere plurilaureato ad Harvard, membro di UNESCO, consulente di UNICEF, Banca Mondiale, USAID e ancor prima rampante bancario di Morgan Stanley. Si chiama Manish Jain e ha fondato 18 anni fa ad Udaipur un centro chiamato “Shikshantar: Istituto Popolare per il Ripensamento dell’Educazione e dello Sviluppo”.
Manish ha una presenza forte e decisa; dietro un aspetto bonario e semplice si cela uno spirito ribelle, tagliente, molto raffinato. Abbiamo voluto qui tradurvi un frammento di una delle sue tante, preziose pubblicazioni intitolata “Riscoprire il proprio co-creatore dentro di noi”, che risale nientemeno che al 2002.
“Il nostro lavoro a “Shikshantar” consiste nel cercare di capire come sostenere il processo di disapprendimento. Abbiamo invitato diverse persone tra i 23 e i 40 anni da varie parti del mondo a condividere con noi le loro storie di vita. Abbiamo chiesto loro:
– Come ti è capitato di mettere in discussione le “narrazioni” dominanti di progresso, successo, sicurezza, etc.?
– In quali modi resisti al paradigma distruttivo dominante militare/industriale e alle sue istituzioni di controllo del pensiero?
– Quali esperienze ti hanno aiutato a identificare il tuo potenziale, le tue abilità, la tua creatività, le tue domande, il tuo senso comune e la voce della tua coscienza?
– Cosa ti ispira a intraprendere nuovi esperimenti nella tua vita?
– Quali valori/sogni/relazioni sono importanti per te?
Finora abbiamo raccolto molte storie nelle quali le persone esplorano temi legati a crescita economica, profitto, efficienza, nazionalismo, democrazia, scienza, tecnologie informatiche, esseri umani “educati”, natura umana, genere, religione, comunità, istituzionalizzazione dei bambini, etc. Queste persone riportano la propria esperienza nello sfidare gli stereotipi sull’Altro, e raccontano come si sono confrontate con la percezione dei loro limiti, di certe paure, insicurezze, egoismi e con il desiderio di competere e dominare gli altri.
Queste storie dimostrano chiaramente che non c’è un curriculum standardizzato per un attivista radicale. Il processo di disapprendimento è molto diverso e non prevedibile; un’esperienza che ha toccato profondamente una persona non ha avuto molto impatto su un’altra (o ha avuto un significato completamente diverso per un’altra), ma si possono comunque rilevare alcuni elementi comuni tra i diversi processi di disapprendimento di queste persone:
– hanno interagito da vicino con culture, contesti, discipline dissonanti, con individui di varie generazioni e si sono confrontati con paradossi;
– hanno avuto una posizione nel sistema politico/economico/educativo sia da “interni” sia da “esterni”;
– hanno vissuto sia successi sia fallimenti (e sia come vincitori, sia come vinti) nel sistema politico/economico/educativo e hanno visto la sua arbitrarietà e brutalità;
– hanno dato fiducia e si sono basati sul proprio istinto e giudizio quando dovevano prendere decisioni, invece di seguire dottrine accettate;
– hanno avuto l’opportunitá di usare le loro mani e il loro cuore per imparare, insieme alla loro testa;
– hanno avuto tempo e spazio per sbagliare e hanno ricevuto l’incoraggiamento per superare l’errore;
– hanno affrontato sia il supporto sia lo scoraggiamento da parte delle famiglie e degli amici più vicini.
È anche interessante e importante analizzare la loro esperienza scolastica. La maggior parte delle storie indica che queste persone generalmente si annoiavano a scuola; la scuola non riusciva a stimolare la loro immaginazione o a rispondere alle loro domande. Il risultato è stato che hanno iniziato a esplorare altri spazi fuori dalla classe, a volte da soli, altre volte con l’aiuto di un adulto. Hanno capito che potevano imparare molto di più da soli, con gli amici e con la Natura invece che in classe. Hanno anche compreso i limiti della frammentazione delle discipline e hanno iniziato a superare i confini tra le discipline da soli.
Alcuni hanno persino avuto esperienze negative a scuola. Hanno sfiorato la sua burocrazia restrittiva, le sue regole e le sue dure punizioni. Hanno realizzato che la scuola sopravvive a malapena alla propria retorica di apertura e democrazia. Hanno visto che era naturalmente ingiusta per quanto riguarda le sue politiche di inquadramento precoce e che era caratterizzata da discriminazioni razziali, di classe, di genere, di provenienza, etc.
Abbiamo anche provato a capire come un processo di disapprendimento ha contribuito al loro ruolo di co-creatori. Innanzitutto, questi individui stanno sviluppando le proprie domande specifiche, che danno nutrimento alle loro interazioni ed esplorazioni. Hanno smesso di pensare che c’è solo una risposta giusta ad ogni domanda, e si sono liberati di un modo di pensare lineare, riduzionista, meccanicista, a compartimenti stagni. Hanno iniziato ad apprezzare la bellezza della sfumatura e la necessità dell’ignoto.
Inoltre, sono in un processo di sviluppo delle proprie identità multiple. Hanno capito che l’individuo ha molti sé potenziali, capaci di manifestarsi in ambienti differenti.
Infine stanno sviluppando una profonda comprensione di cosa significa il dissenso, la resistenza, la non-collaborazione, l’autorganizzazione e la trasformazione. La ricerca senza sosta di soldi non è più al centro della loro vita. Ora hanno il coraggio di sfidare e/o rompere le regole esistenti (e persino interi scenari di sistema, se necessario), e hanno la saggezza di combattere le loro battaglie con cura. Vogliono assumersi nuovi rischi nella loro ricerca di nuovi modi di vivere”.
I numerosi scritti di Manish vanno dritti al cuore delle cose e contengono una sorta di gentile ferocia nei confronti delle gabbie nelle quali tutti, in varia misura, in vari momenti, ci ritroviamo rinchiusi, una disincantata compassione, che li rendono particolarmente efficaci.
Ma attenzione! Anche Manish, come noi, pensa che “disimparare non significa semplicemente rifiutare le bugie, rompere con modelli di pensiero sorpassati, liberarsi di relazioni oppressive etc. Non è un atto egoico. Ci sono, al contrario, anche molte dimensioni rigenerative del disimparare: autodisciplina, umiltà, perdono, compassione, conservazione, semplicità e saggezza. Il disapprendimento in realtà apre nuovi spazi per apprendimenti auto-diretti e co-apprendimenti. È un processo che implica il rivolgere lo sguardo sia verso l’interno sia verso l’esterno, viaggiando nell’ignoto, esplorando il proprio sé nella sua interezza”.