di Debora T. Stenta
dal blog https://bradosisma.wordpress.com/2022/10/18/miracoli-ordinari/
Godo di un grande privilegio.
È quello di poter essere testimone della forma e del ritmo che ha la vita negli istanti in cui si manifesta in una creatura che esce dal corpo di sua madre. Di essere testimone di cosa diventa una madre in quegli istanti, del suo essere servizio assoluto, del suo essere pura e totale presenza.
Godo del privilegio immenso di poter stare silenziosamente accanto nella pace del momento in cui compare quella diade che contiene, come la gemma di un albero, tutte le informazioni e le funzioni necessarie alla vita stessa.
Il ritmo della vita, quando si esprime in una creatura appena nata e nei gesti di sua madre, è lo stesso ritmo che ha lo sbocciare di un fiore.
Le prime ore, i primi giorni di vita di una creatura sono fatti di piccole, semplici, ordinarie azioni miracolose: la madre pulisce delicatamente con una tela umida una pieghetta arrossata del collo dove c’è un po’ di casex nascosto; la creatura fa un balzo mentre dorme tra le braccia della madre e la sua mano si alza improvvisamente nell’aria, per poi abbassarsi lentamente e tornare a posarsi lievemente sulla pelle della madre; la madre tocca un piedino che appare al tatto un po’ troppo fresco e lo riscalda avvicinandolo ancora di più al proprio corpo; le labbra della creatura tremolano nel sonno ricordando il capezzolo che circondavano pochi istanti prima; la madre toglie qualche crosticina dagli occhi della creatura.
Non c’è molto altro da fare.
Non ci sono pensieri altri, grandi voli pindarici, grandi riflessioni trascendentali.
L’essenziale è tutto lì, in quel miracolo ordinario che è racchiuso nei gesti dell’inizio della vita. È la straordinaria normalità del nascere e del morire, momenti tra i pochi in cui possiamo veramente sintonizzarci con il ritmo dello sbocciare di un fiore. Che sboccia, non c’è dubbio, anche se noi a occhio nudo non riusciamo a cogliere il movimento dei petali che si aprono.
A occhio nudo contemplo quei gesti, bagno assetata nell’oceano di quei gesti, mi ci perdo e non esiste altro. Ogni complicazione della mia vita mi sembra vana quando ricevo il dono di essere accanto a questo miracolo ordinario. Ugualmente vano mi pare ogni sforzo che l’umano fa per opporsi alla propria entelechia, alla perfezione delle proprie istruzioni originarie.
Con l’occhio nudo anche il cuore e la mente si denudano, ad ogni respiro che gonfia e sgonfia il pancino della creatura, ad ogni suo stiracchiarsi, nella mano materna che allarga la scollatura della maglia per offrire il seno alla creatura, nella macchia di latte che si allarga in corrispondenza del capezzolo che non è in uso, nel sorriso enigmatico della madre che esprime il suo stato non ordinario di coscienza totalmente ancorato al piacere.
Da quella diade si sprigiona un senso di presente eterno. Non c’è passato, non c’è futuro, pochi pensieri occupano la mente: cambiare il pannetto bagnato di pipì, spostare dolcemente la creatura sul seno che è più carico di latte, lasciarsi stringere il dito dalla minuscola mano.
Benedico chi mi ha scelta e continua a scegliermi per custodire questo tempo.
Benedico di essermi offerta alla chiamata di essere al servizio della nascita.
Benedico di avere queste periodiche occasioni per ricordarmi dell’essenziale.